Grato Brunel, nato a Lugano nel 1840, si può proprio chiamare il "papà dei fotografi": non solo perchè capostipite di una famiglia di fotografi, ma anche perchè primo fotografo del Cantone, iniziatore di un'arte che, col passare degli anni e dei decenni, si è diffusa tanto che oggi non vi è praticamente più nessuno che non si consideri, a torto o a ragione, come professionista o come dilettante, un fotografo.
Fatti i primi studi nella nostra città, Grato Brunel, partì col fratello gemello Lodovico per Marsiglia, a compiere in quella città gli studi d'architettura: seguendo questi studi i due fratelli fecero la conoscenza di un ingegnere, grande appassionato di fotografia, che insegnò loro questa difficile arte allora appena nascente. Grato si entusiasmò tanto che abbandonò l'architettura e, tornato a Lugano, aprì nel 1862 il primo salone, come si chiamava allora lo studio di un fotografo: poi, una decina d'anni dopo, tornato il fratello Lodovico dall'America, aprì con questi un nuovo studio prima in Piazza della Baldoria, ora Piazza Bossi, e quindi nella casa Martinetti in Via Nassa, l'attuale palazzo Bianchi, per poi trovare una sistemazione definitiva nella casa adiacente.
L'arte del fotografo in quei tempi non era certo facile come oggi: bisognava prepararsi da soli le lastre e il materiale sensibile e spesso anche gli apparecchi, bisognava conoscere la chimica per preparare le soluzioni, ed avere una grande esperienza per riuscire ad ottenere, con quella tecnica primitiva, un'immagine sufficientemente nitida.
Alcuni aneddoti possono far rivivere -crediamo- lo spirito di quei tempi, in cui predominava il senso artistico della professione e quando, soprattutto, la fotografia era ancora circondata da un alone di magia, e possono anche chiarire i particolari rapporti che esistevano con la clientela.
Il fotografo Brunel, oltre ad avere lo studio, visitava la clientela a domicilio, spingendo la sua attività nelle vicine valli; difficoltà non indifferenti erano causate dalle dimensioni dell'apparecchiatura: la grossa macchina di legno, l'ingombrantissimo e pesante cavalletto, un'intera valigia di chassis con le lastre fotografiche di vetro. Al sole si posava per diversi secondi, e qui va ricercata la ragione di quei gruppi statici, coi corpi contratti, le teste immobili come di cera, che trovavano posto nella valigia di ogni emigrante e che, ingranditi, erano appesi nella cucina di ogni casa: ogni famiglia, anche la più povera, aveva la foto-ricordo appesa ad una parete, accanto a un'immagine della Madonna e a un calendario. Ebbene, capitò a Grato Brunel, in uno dei suoi giri nelle vicine valli, di fare una ripresa sfortunata, tanto che sulla lastra non rimase impresso nulla; la sostituì con un'altra riproducente un altro gruppo di un uguale numero di persone, nessuno se ne accorse, e il conto fu anzi pagato con molta soddisfazione: il ricordo contava certo più della rassomiglianza...
Le tariffe praticate variavano per le fotografie a colori, che naturalmente erano dipinte a mano: se il cliente o la cliente desideravano l'anello o la collana o altri gingilli colorati in giallo, come se fossero d'oro, invece che in grigio, cioè d'argento, il signor Grato praticava un supplemento, che veniva sempre pagato senza batter ciglio.
Per le fotografie con poca luce, al tramonto o nelle giornate invernali, si usava fissare il capo del cliente in un ferro a semicerchio sostenuto da una colonnina: il fotografo si garantiva così contro l'inconveniente di veder apparire sulla lastra una fotografia sfocata, essendo certo che per i dieci o quindici secondi necessari il capo non venisse mosso. Un giorno, dunque, giunse allo studio Brunel un ex-diplomatico tedesco; il vecchio impiegato fece accomodare il cliente e gli fissò ben bene la testa al semicerchio di ferro: solo, quel giorno aveva alzato un pò troppo il gomito e finì con l'addormentarsi sotto il magico penno nero dimenticandosi del cliente. Questi rimase così quasi un quarto d'ora con il capo incastrato nel gelido anello di metallo, sopportando impassibile, pur di avere la fotografia, quella lunga tortura.
Ma, sia pure con quei mezzi rudimentali, Grato Brunel riusciva a fare delle fotografie che, dopo molti anni, stupiscono per la nitidezza e la straordinaria ricchezza di particolari. Amico intimo del Vela, ne riprodusse ogni opera e ancora oggi il nipote Neno Brunel conserva una quarantina di queste preziosissime lastre. Un'altra collezione famosa fu quella della facciata di San Lorenzo, che gli procurò numerosi riconoscimenti internazionali.
Grato Brunel morì nel 1921, e lo studio passò nelle mani dei figli Athos ed Edoardo, che aprirono anche un negozio a Chiasso. Il figlio maggiore Luigi andò invece a fare il fotografo nell'America latina.
Fin dopo la prima guerra mondiale il lavoro del Brunel aveva subito una trascurabile evoluzione. Oltre alla foto-ricordo del gruppo famigliare era di moda la posa a mezzo busto, il ritratto in piedi sempre uguale, col braccio appoggiato ad una vecchia colonnina ad intaglio o ad un'altra dipinta con dei fiori dal pittore Galbusera. Poi altri soggetti interessarono il fotografo, come le scene sportive durante feste ginniche, con gli esercizi che naturalmente venivano ripresi da fermo per consentire la lunga posa che era necessaria; quindi fecero capolino le corse in bicicletta e vennero immortalati i primi campioni automobilistici, insieme alle immagini di Maffei e di Primavesi accanto all'aeroplano che, con altre centinaia di lastre, furono purtroppo, molti anni dopo, gettate nel lago.
La fotografia tecnica tardò un po', ma i vari palazzi cittadini, le principali sedi pubbliche, i monumenti, le chiese, completarono l'attività del Brunel. Bell'esecuzione du scenette caratteristiche e di paesaggi Athos Brunel ebbe come consiglieri il Monteverdi e il Preda e, molti anni prima, il padre Grato si valse della collaborazione del Ferragutti. Questi artisti (si interessò di fotografia anche il Berta) non solo effettuavano le riprese con particolare gusto, ma sviluppavano essi stessi le lastre. Intanto, piano piano, la fotografia trovava in città sempre nuovi appassionati, che si riunivano in appositi gruppi e associazioni.
Poi negli anni venti, apparve all'orizzonte qualche cosa di nuovo che doveva indirizzare la fotografia su strade rivoluzionarie. Fecero capolino le prime macchine portatili, semplici nel funzionamento e maneggevoli: il dilettante, nuovo personaggio nel campo della fotografia, dopo i primi incerti passi assunse così una posizione da vero dittatore, riuscendo con la sua comparsa a trasformare radicalmente il lavoro del fotografo, destinato sempre più, col passare degli anni, a trasformarsi da artista in commerciante: impugnando la famosa "9x12", il dilettante contrastava infatti il passo al fotografo, che malvolentieri s'interessava del mondo esterno, restando legato alla bottega in attesa del cliente; da Brunel, ad esempio, ben accetti erano gli sposi che nel grande salone in Via Nassa, con le luminose vetrate verso il lago, venivano ritratti con una fantasia di sfondi dai più svariati soggetti, mentre malvolentieri la grossa macchina e il cavalletto venivano portati fuori dal negozio per fotografare quelle coppie che volevano a tutti i costi essere ritratte dinanzi alla porta della chiesa o dell'albergo ove si svolgeva il banchetto nuziale.
Il fotografo, allora, non avrebbe mai sospettato di essere quasi estromesso professionalmente, fino ad arrivare addirittura al cambio della guardia, nel senso che ora la fotografia la fa il dilettante e il fotografo si limita a svilupparle e a vendere gli apparecchi.
Con l'introduzione delle diapositive e delle negative a colori il numero dei fotodilettanti è aumentato sempre più, mentre esposizioni continue, concorsi e corsi di perfezionamento hanno fatto un'ulteriore propaganda a favore della fotografia in tutte le classi sociali. A ciò si è aggiunto, nell'ultimo ventennio, il cinema a PASSO ridotto, che in un primo momento divise gli appassionati nella scelta tra la foto statica e il movimento: ma col passare degli anni, e con la sempre maggiore facilità d'impiego accompagnata ad una continua diminuzione di prezzo, quasi tutti hanno finito con il dedicarsi a tutte e due le specialità, acquistando sia la macchina fotografica che la cinepresa.
Anche Brunel, il decano dei fotografi, ha dovuto perciò adeguarsi a questa continua evoluzione, trasformando totalmente non solo la propria attività, ma anche il suo studio. Dapprima aprendo in moderno negozio, nel 1929, sotto i portici in Via Nassa, poi modificando ancora, dieci anni dopo, la vetrina e arricchendo la propria scelta in apparecchi fotografici e cinematografici e, infine, dopo l'ultima guerra, trasformando il pianterreno, prima sede del laboratorio, in una serie di salotti ove poter consigliare con calma e tranquillità i clienti e guidarli nella difficile arte della fotografia. Questo ultimo periodo ha avuto inizio con la gestione del nipote del fondatore Grato, Neno Brunel, che prese le redini del negozio nel 1933, dopo aver fatto un'invidiabile esperienza a Monaco presso il famoso fotografo Sahm, conosciuto e apprezzato in tutto il mondo per la sua straordinaria abilità, e al quale si associò, nel 1936, il signor Calloni.
Il vecchio fotografo-artigiano, venuti meno la necessità affettiva e il simbolo della foto-ricordo e comparsi contemporaneamente e sempre più prepotentemente i dilettanti, aiutati notevolmente dall'automatismo delle macchine fotografiche e cinematografiche, dalla maggior perfezione delle nuove emulsioni, dal colore, dall'impiego della luce artificiale, ha dovuto col passar degli anni ritirarsi - sia pure a malincuore - dietro il banco nella veste di venditore.
Ma l'esperienza di oltre un secolo di attività nel campo della fotografia, trasmessa da Grato Brunel ai figli e al nipote, non è andata, fortunatamente, perduta: oggi il fotografo non è solo venditore, ma anche divulgatore prezioso di consigli al novellino che vuole cimentarsi con la fotografia, ed è appunto in questo compito, aiutando il dilettante ad entrare nel magico mondo della fotografia e a scegliere i mezzi tecnici più adatti, che l'esperienza ultracentenaria del negozio Brunel, fondato dal papà dei fotografi, è ancora preziosa.
Giornale del popolo: il quotidiano della Svizzera italiana, 20 novembre 1965.