Io non sono a favore di lasciare a oltranza le terre in mano agli antichi abitanti. Tanto per cominciare, l'idea che aver passato secoli in un posto ti dia il diritto di passare altri secoli nello stesso posto è molto discutibile: secondo quella stessa idea, il re dell'Arabia ha diritto di esserlo perché i suoi antenati lo sono stati per molto tempo. O altrimenti: è un'idea conservatrice, storicamente ecololó che vale la pena di discutere.
Non credo nemmeno alla teoria secondo cui bisogna preservare le culture a ogni costo. Le culture si evolvono, cambiano. Abbiamo fatto sforzi improbi per lasciarci alle spalle la cultura occidentale e cristiana che predicava che il sesso era peccato e che divertirsi era un miracolo e chi diceva porcodio bruciava per sempre tra le fiamme sempiterne; e non sarebbe nemmeno bello rammaricarci per l'irreparabile perdita dello schiavismo nei nostri paesi negli ultimi duecento anni. E invece diventiamo paternalistici e proclamiamo che bisogna 'preservare' le culture che funzionavano in altri tempi, in altre condizioni.
Perché ci ostiniamo a sostenere che ci sono società 'tradizionali' che dovrebbero conservare per sempre il loro modo di vita, e che è 'progressista' aiutarli a continuare a vivere come i loro antenati? Sarà perché noi moderni continuiamo a usare crinoline e ghette, a sposare solo vergini, a viaggiare a cavallo brandendo la sciabola, a scrivere parole come queste con una piuma d'oca, a inchinarci davanti al nostro re, a illuminarci con la lanterna a olio che regge, timoroso, quel negretto?
La tradizione, la purezza, l'autenticità. È quell'idea conservatrice di congelare l'evoluzione in un punto passato: quell'idea che la sinistra condivide così bene con la destra, pur applicandola a oggetti diversi.
Caparrós, Martín. La fame. Einaudi, 2015.