È dal terreno fertile del convegno “Orizzonti numerici”, un momento di incontro e confronto tra professionisti e interessati del settore delle statistiche culturali, che prende le mosse questa riflessione sui dati e su ciò che si cela dietro di essi (o anche attorno). Un’occasione che ha permesso di mettere in luce come il dialogo e lo scambio di esperienze tra operatori del settore possano fare luce su quelle zone d’ombra che spesso sfuggono alle rilevazioni statistiche più comuni.
Nel vasto panorama dell’analisi dei fenomeni culturali ci troviamo sempre più spesso confrontati con una realtà sfuggente e fluida: qui i dati che non vediamo sono spesso più importanti di quelli che riusciamo a catturare. Questo paradosso, brillantemente esplorato da David Hand nel suo Il tradimento dei numeri, apre scenari di riflessione particolarmente rilevanti quando ci addentriamo nel campo delle statistiche culturali: le nostre attività di descrizione e analisi sono spesso associate a dati che “vorremmo avere, o che speravamo di avere, o che pensavamo di avere, ma che comunque non abbiamo”.
A questo si aggiungono le sfide uniche proposte da questo settore associato alla ricerca quantitativa. Come misurare l’impatto di un’opera d’arte? Come quantificare il valore culturale di una pratica? E soprattutto, come gestire tutto ciò che sfugge alle nostre rilevazioni? I dark data, o dati oscuri, rappresentano proprio questa zona d’ombra: informazioni che esistono ma che non riusciamo a catturare, o che scegliamo consapevolmente o inconsapevolmente di ignorare. Nel contesto culturale, questa oscurità assume dimensioni particolarmente significative. Pensiamo alle pratiche culturali informali, alle tradizioni orali, alle espressioni artistiche che sfuggono ai circuiti ufficiali, o ancora alle infinite sfumature dell’esperienza culturale individuale.
La questione diventa ancora più complessa nell’era digitale. Paradossalmente, in un’epoca in cui produciamo e raccogliamo più dati che mai, il volume dei dark data cresce in modo esponenziale. Per ogni evento culturale tracciato, quanti sfuggono alla nostra rete? Quanto è rappresentativo ciò che misuriamo rispetto alla totalità del fenomeno culturale? Questa consapevolezza non deve portarci a un paralizzante scetticismo statistico. Al contrario, la comprensione dell’esistenza di queste criticità deve stimolarci a sviluppare approcci più sofisticati e consapevoli all’analisi dei fenomeni culturali. Il confronto tra professionisti, come quello avvenuto durante “Orizzonti numerici”, dimostra come sia possibile integrare metodi quantitativi e qualitativi, considerare sistematicamente i possibili bias nelle nostre rilevazioni, e soprattutto mantenere un’umiltà epistemologica di fronte alla complessità dei fenomeni che studiamo.
Le statistiche culturali del futuro dovranno quindi essere sempre più consapevoli dei propri limiti e delle proprie zone d’ombra. Non si tratta solo di raccogliere più dati, ma di comprendere meglio la natura di ciò che sfugge alle nostre misurazioni, attraverso il dialogo e il confronto continuo tra gli operatori del settore, e con una sempre attenta contestualizzazione. Solo così potremo sviluppare una comprensione più profonda e autentica dei fenomeni culturali, nella loro ricchezza e complessità.
Roland Hochstrasser, Capo dell’Ufficio dell’analisi e del patrimonio culturale digitale, Repubblica e Cantone Ticino